11.6.15

Brillanti, affascinanti, spesso tremolanti appaiono al calar della notte, sparse nel cielo, e trapuntano di piccole gemme rilucenti quella strana coperta che avvolge il mondo da sempre. Qualcuna sorge e tramonta come ha fatto il sole durante il dì, la gran parte invece gira attorno alla regina del cielo, la Polare, come fossero tante dame di corte. Il gran manto del cielo con le stelle, che ritroveremo spesso nei soffitti delle chiese e nel manto della Vergine Maria, ci affascina, incuriosisce, attrae da sempre. Lasciamolo dire al grande filosofo romano Seneca, che 2000 anni fa ci lasciò in regalo questo gioiello prezioso “Se le stelle, anziché brillare continuamente sul nostro capo, non si potessero vedere che da un solo punto della Terra, gli umani non cesserebbero dal recarvisi per contemplare le meraviglie dei Cieli”. Fascino, bellezza, curiosità dunque, e nelle nostre vie, nelle bellissime chiese, nei monumenti è ancora presente, lì sotto i nostri occhi, aperti ma incoscienti dell’antico legame fra i nostri progenitori e il cielo stesso con i suoi incessanti fenomeni. Una miriade di opere d’arte, affreschi, statue, strumenti astronomici che non riconosciamo come tali e che invece per centinaia di anni hanno illustrato il cielo ai padovani o si sono rivelati utili nella vita quotidiana. Il Sole sorge, culmina e tramonta, sorge la luna, girano le stelle in cielo per tutta la notte. Affascinata da sempre dai ritmi del cielo, l’umanità li ha fatti diventare suoi, li ha studiati, misurati, capiti e infine utilizzati per scandire la propria vita, la propria attività. Il cielo per secoli e secoli è stato calendario, grazie al sole che in 365 giorni ritorna sempre alla posizione dell’anno prima, alla luna, bizzosa e spesso incostante, che definisce per noi il mese, alle costellazioni, magnifica e potente fantasia della mente dei nostri progenitori che, alternandosi nel gran teatro del cielo, ci indicano anche la stagione. Le stelle sono state anche bussola per il navigante, strumento naturale di salvezza che permette di fare la rotta e non “perdere la tramontana”, perdere cioè la visione della Polare, tramontana, e non saper più dove andare. Ma la visione del cielo, anche quando ne abbiamo capito i ritmi e i cicli, è sempre stata anche incertezza: vi abbiamo messo le nostre paure, i castighi, gli dei che ci possono punire, come Giove tonante, e anche le speranze, il destino, il futuro. Anche oggi che siamo protetti dalle tecnologie il cielo può spaventarci, immaginiamo nel Trecento, anno in cui Giotto dipinge la Cappella degli Scrovegni e si “inventa” la leggenda della cometa dei Magi. Per questo il cielo è pieno di miti, di leggende, e nella nostra città si intersecano dappertutto religione, astrologia, fede e credenza popolare. Dio è in cielo, Padre nostro che sei nei cieli, la preghiera cristiana per eccellenza che accomuna Riforma e Controriforma, ma lì ci sono anche santi e stelle, costellazioni e dei mitologici. Ecco allora un diluvio, letteralmente, di pianeti, che danno i nomi ai giorni della settimana, apostoli, draghi, costellazioni, arti mestieri, stagioni e ancora presagi e castighi. È un universo intero quello che ci abbraccia, quasi ci avvolge nello scenario incredibile del Salone di Padova. Duemila metri quadrati di affreschi, una biblia pauperum insieme laica e religiosa, profana e scientifica. Simboli oggi non sempre facili da decifrare che ci danno uno specchio fedele della conoscenza e delle credenze del cielo prima che fossero disponibili i telescopi. Prima del nostro grande Galileo, che onorò la città con la sua presenza per 18 anni e le scoperte astronomiche e scientifiche maggiori della sua lunga carriera. Prima di lui solo l’occhio poteva aiutare l’umanità nel tentativo di ricostruire l’Universo intero, ma è ben poca cosa, anche se magnifica, quel che vediamo a occhio nudo. Sole, luna, i cinque pianeti: Mercurio, Venere, Marte Giove, Saturno oltre alla striscia candida della Via Lattea. Dalle nostre parti, allora, nella città buia, si potevano vedere fino a quattromila stelle. Poca cosa? Certamente, ma da Aristotele a Copernico questo bastò per far funzionare una “macchina” dell’universo formata di pochi elementi che ruotavano tutti attorno alla signora del Cosmo, nostra grande madre Terra. La troviamo spesso quest’idea nella nostra città, dallo splendido affresco del Battistero del Duomo all’Astrario del Dondi, visitabile all’Università, al grande e nobilissimo orologio di Piazza dei Signori, un trattato di Cosmologia in pietra, prima che un orologio da torre. Il viaggio dentro l’astronomia nella città sta per finire, speriamo di averlo illustrato almeno un po’. Oggi l’Universo lo studiamo con telescopi giganteschi, a terra o in orbita. Ci inondano giornalmente di stupende immagini di miliardi di stelle, miliardi di galassie, di nubi di gas variopinte da cui si formano incessantemente nuove stelle. È un altro tipo di fascino. Ma forse quello evocato da Seneca riguardo alle stelle e al cielo è finito per questo? Questo ultramoderno messaggio, “tweettato“, ci risponde, sorridendo, di non preoccuparci. “Ti va di prenderci l’azzurro di questo cielo e poi andiamo a farne di tutti i colori? (@oppyum, Twitter.com, 2015) Your slide-in text goes here